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Le impressioni nel silenzio della navata

Dalle alture che sovrastano la città di Gubbio si gode uno spettacolo stupendo. Si apprezza la presenza, ad un tempo, dell’attuale e del remoto. Si apprende che il moderno si è mirabilmente inserito nell’antico. La città è rimasta “di pietra” come nella tradizione, ma si percepisce, nello stesso tempo, che è viva.

In vetta al Monte d’Ansciano, sito nella circoscrizione della parrocchia di Sant’Agostino, si erge il monastero di San Girolamo, ove attualmente vivono e pregano per tutti noi le suore Clarisse Cappuccine, e dalla terrazza naturale che lo fronteggia si ha visione, fra i mille monumenti, di una sorta di fortilizio, nell’immediato esterno delle mura urbiche, di rilevante dimensione, di forma quadrangolare, con un campanile su uno dei lati.

Vidi tutto ciò per la prima volta tanti anni fa, allorché fissai la mia residenza in Gubbio. Discesi dal monte e mi avvidi che la predetta costruzione era tutt’altro che un fortilizio e che si trattava, invece, del Convento e della chiesa di Sant’Agostino, sede di quella che sarebbe divenuta la mia parrocchia. Sentii la necessità di entrare. Era tarda sera e si era in Quaresima. Mi accolse una chiesa grande ad unica navata, nella circostanza completamente vuota di persone.

Nel piacevolissimo silenzio pregai e guardai. Stile architettonico gotico, una pluralità di cappelle, tutte con magnifici dipinti ed affreschi, la grande volta ogivale dell’abside completamente affrescata con la rappresentazione della vita di sant’Agostino e del Giudizio universale. Constatai che fra gli autori dei dipinti delle cappelle vi erano stati alcuni grandi artisti eugubini, Felice Damiani e Virgilio Nucci, e che il valentissimo autore degli affreschi della volta dell’abside era stato Ottaviano Nelli, anch’egli eugubino. Tutte tali meraviglie accompagnarono la preghiera.

Uscito dalla chiesa, nel silenzio serale, udii, lontano, un complesso di voci in cammino, una litania struggente, dai toni solenni, dapprima sommessi e in seguito, ridottesi le distanze, sempre più sonanti.

Un folto gruppo di giovani e meno giovani in lento incedere sulle strade della città cantava, coralmente ciò che mi fu detto intitolarsi “ Il Miserere ”, il salmo penitenziale il cui incipit è costituito dalla frase Miserere mei Deus (Abbi pietà di me, o Dio), invocazione attribuita a David, re dei Giudei, implorante misericordia per gravi peccati commessi. Mi venne chiarito che si trattava di una tradizione ormai secolare – trasmessa oralmente - , che, come poi constatai, si formalizza ogni anno, in occasione della Processione del Cristo Morto, allorché i cantori, in lealissima “tenzone sonora” tra loro, si suddividono in due schiere, Coro del Signore e Coro della Madonna. Luoghi, eventi e persone quasi immaginari.

Sergio Matteini

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