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Salvini tira dritto. Con qualche freno

Comanda Salvini. Per molti è lui il vero premier del Governo gialloverde. Che nei primi sei mesi di attività è riuscito a piazzare colpi politici dall’alto impatto simbolico nelle materie a lui più congeniali, come immigrazione e sicurezza. E poi trionfa sui social, dove impazza con almeno tre incursioni al giorno tra Facebook e Twitter, usando un linguaggio indirizzato soprattutto alla ‘pancia’ dei suoi 3 milioni e 300 mila fan (Di Maio, il vice premier grillino, ne conta poco più di 2 milioni: non paga, almeno in Rete, passare dalla protesta alla proposta). Comanda Salvini, che prima a suon di slogan “Noi tireremo diritto” - blinda la contestatissima manovra economica del suo Governo e poi, visti i rovesci sui mercati e la poca o nulla solidarietà ricevuta da ‘presunti’ Governi amici, come quelli austriaco e ungherese, sostiene senza remore che “i decimali del deficit non sono scritti nella Bibbia” e dunque con l’Europa si può trattare. Comanda, e comanderà nei prossimi anni, Salvini: diversi osservatori delle questioni politiche italiane lo fanno capire, osservando l’evoluzione sia dei rapporti politici tra Lega e 5 stelle sia delle dinamiche della base dei due elettorati. A Torino il 3 dicembre è nato quello che i giornali (del Nord produttivo) hanno ribattezzato “il partito del Pil”: per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, Confindustria ha manifestato contro un Governo, e con essa si sono schierate anche le associazioni di altre categorie produttive, a cominciare dagli artigiani. Un campanello d’allarme che dev’essere risuonato forte alle orecchie della dirigenza leghista: il retroterra di questo partito (l’unico rimasto della Seconda Repubblica), ancorché Salvini ne stia faticosamente ma decisamente pilotando il passaggio da forza politica localmente caratterizzata a soggetto nazionale e sovranista, rimane saldamente ancorato a quella platea delle piccole e medie imprese (e della piccola e media borghesia) del Settentrione italiano. La domanda che Salvini stesso si sarà posto è se il passaggio dalla Lega nord (che esiste ancora, ma è destinata a scomparire dopo le prossime elezioni europee) alla Lega per Salvini premier (che esiste già) con connotazione nazionale, non costerà un prezzo troppo alto in termini di consensi dal suo bacino naturale di centrodestra, un bacino spiazzato dall’alleanza con una forza statalista e assistenzialista come l’alleato pentastellato. Un’alleanza che sta dando diversi segni di indebolimento, tanto che il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, ne prevede il collasso dopo le elezioni europee del maggio 2019. Lo stesso Tajani era a Torino a sostenere le ragioni delle aziende del Nord, quasi a surrogare l’assenza della Lega, o comunque cercando di soppiantare lo storico alleato leghista nella rappresentanza politica del ‘partito del Pil’. Delle ragioni del Nord Italia produttivo continua a farsi portavoce anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, in ascesa come figura di riferimento all’interno dell’anemico Pd, il suo partito. Tutte figure - Tajani, Sala e altri - che non appaiono in grado, attualmente, di costituire un ostacolo reale alla cavalcata del Matteo leghista verso una leadership nazionale; che soltanto l’eccesso delle proprie esternazioni (costate consenso anche a Renzi...) e una certa ritrosia interessata a rendersi conto che non può giocare in eterno a stare all’opposizione potrebbero ritardare.

Daris Giancarlini

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