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Le pesanti responsabilità di Governo e opposizione

La ricreazione (la campagna elettorale...) è finita, per chi ha vinto e per chi ha perso le elezioni del 4 marzo. Chi si è assunto la responsabilità di governare deve dismettere il linguaggio della demagogia e della propaganda per affrontare i problemi concreti, reali, di quel popolo-gente-cittadini (nessuno, a destra e a sinistra, ha mai parlato di ‘persone’, in campagna elettorale) che tutti, prima del voto, hanno detto di voler tutelare. E chi è stato spinto, dall’esito negativo delle urne, a esercitare il ruolo di opposizione deve mettersi di buzzo buono per esercitare con coscienza sia la funzione di controllo sugli atti della Governo, sia quella di una proposta politica che disegni scenari futuri di alternativa. Tutto questo dovrebbe succedere, in un Paese ‘normale’.

Ma, considerati i primi atti ed eventi politici da quando è in carica il Governo sostenuto da cinquestelle e Lega, tutto questo non sembra stia succedendo.

Partiamo dal primo atto formale con valore politicamente simbolico, che lo scambio della campanella tra il presidente del Consiglio uscente, Gentiloni, e quello subentrante, Conte. In questa occasione è successa una cosa mai vista prima nella storia della Repubblica: al momento della foto di rito, infatti, il nuovo premier ha chiamato al suo fianco Salvini e Di Maio. Per chiarire (ove mai ce ne fosse bisogno) che questo premier, fino a ieri sconosciuto ai più, sarà sempre ‘affiancato’ da chi lo considera apertis verbis un semplice esecutore del cosiddetto contratto di maggioranza.

Poi arrivano le affermazioni del ministro Lorenzo Fontana, leghista, su unioni arcobaleno e unioni civili. Un tema enorme, delicatissimo: come pensare che, al secondo giorno di lavoro al ministero, il nuovo titolare del dicastero della famiglia possa aver maturato già delle convinzioni? Non così granitiche, queste convinzioni, se poi lo stesso Fontana, al richiamo del capo del suo partito (“Questi temi non sono nel contratto” ha detto Salvini), è tornato prudentemente sui suoi passi.

Allo stesso Salvini, nuovo ministro dell’Interno, nessuno ha avuto l’ardire di eccepire alcunché quando ha detto che i primi risparmi di spesa pubblica si dovranno fare tagliando i cinque miliardi di euro destinati all’accoglienza dei migranti. “Per i quali è finita la pacchia” ha ribadito il leader leghista.

Il giorno dopo in Calabria un immigrato del Mali, regolare in Italia da qualche anno e attivista sindacale in difesa dei braccianti

africani impiegati (e sottopagati) in agricoltura nel Sud Italia, è stato ucciso a fucilate. Nessuno del Governo in carica, a partire proprio da Salvini, si è fatto presente dopo questa uccisione.

D’altronde, nel febbraio scorso, quando in piena campagna elettorale era stata assassinata una giovane italiana ad Ancona, e pochi giorni dopo un giovane del posto aveva sparato a immigrati africani (per quell’omicidio sono indagati giovani di quel Continente), nessun esponente dell’allora Governo di centrosinistra, né il ministro dell’Interno né rappresentanti del Pd si erano fatti vedere nelle Marche. Ora quello stesso Pd (l’unica forza politica realmente definibile ‘di opposizione’ dopo il 4 marzo, visto che Forza Italia e Fdi continuano a mantenere legami concreti con la Lega) e i suoi dirigenti sono chiamati a uno sforzo che per molti dei suoi esponenti si potrebbe rivelare insormontabile: tornare tra le persone , quelle persone che lo hanno ritenuto non più affidabile nel sostenere le loro istanze.

Con il passare delle settimane si potrà valutare se veramente la campagna elettorale ha lasciato il posto alla responsabilità, per ogni partito, di svolgere a pieno il proprio ruolo, di governo o di opposizione che sia. Per conseguire il bene comune.

Daris Giancarlini

Di Maio, Conte e Salvini

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