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Le opportunità non sono ancora uguali

Claude Chirac: “La complementarietà è parte del successo dell’economia digitale, perché mette insieme talenti diversi”. Movimenti come Me Too, “oltre la denuncia, ci invitano ad avere più rispetto gli uni degli altri.

Se lo avessimo, a prescindere dalle differenze, staremmo meglio”

La questione è il potere, ma non solo, perché la parità tra uomini e donne tocca un’infinità di aspetti, al Forum mondiale per la democrazia che si è aperto a Strasburgo lunedì 19 novembre. “L’uguaglianza nella rappresentanza politica è una condizione per la democrazia”, ha argomentato Gabriella Battaini-Dragoni , vice segretario generale del Consiglio d’Europa, elencando alcune cifre che mostrano lo sbilanciamento: le donne alla guida delle più grandi compagnie e aziende in Ue sono il 16%; tra i 193 Paesi membri dell’Onu, solo 9 hanno donne a capo dei loro esecutivi; nella costellazione del potere giudiziario, le donne giudici sono solo un terzo nelle Corti supreme e un quarto nelle Corti costituzionali.

Ma il punto non è una questione di “quote rosa”: certo il Consiglio d’Europa lo sostiene come strumento perché “sono state adottate in 17 dei nostri Paesi e questi, in termini di equità di genere, risultano avere più successo di quelli che non le hanno introdotte”, ancora Battaini-Dragoni. C’è però chi chiede di andare oltre la parità.

“Faccio fatica a usare la parola uguaglianza” dice Claude Chirac di fronte alla platea in emiciclo. È la figlia dell’ex presidente francese Jacques. Lei oggi è vice presidente della Fondazione che porta il nome del padre, e che in questi anni ha premiato tante donne per il loro impegno per la pace, perché “il loro ruolo in questo ambito è essenziale”. “Ci sono differenze e specificità” tra uomini e donne; “complementarietà, rispetto e armonia sono parole che mi piacciono di più”. E spiega che “la complementarietà è parte del successo dell’economia digitale perché mette insieme talenti diversi: il digitale rende la collaborazione orizzontale più semplice”. Quanto al rispetto: momenti come quello del movimento Me Too , “oltre la denuncia, ci invitano ad avere più rispetto gli uni degli altri. Se avessimo più rispetto, a prescindere dalle differenze, staremmo meglio”. E infine l’armonia “è la sola fonte di progresso: essere capaci di vivere insieme fa progredire la civilizzazione”.

Al tavolo dei relatori anche un uomo, Philippe Muyters , ministro fiammingo del Lavoro, che ha cercato di spostare il discorso dal genere in sé ai talenti, affermando che l’anello debole della catena oggi nella nostra parte del mondo è che “ci sono diritti uguali ma non ancora uguali opportunità. In un mondo ideale, capacità e attitudini sono le uniche caratteristiche che contano e un’équipe bilanciata è l’ottimo, perché la diversità porta enormi vantaggi. Il contrario è il clan. Multidisciplinarietà e differenza sono le cose migliori per affrontare le sfide di oggi”.

Quindi la ricetta di Muyters è “essere consapevoli delle differenze e valorizzarle”, qualsiasi esse siano. Ci sono da superare “giudizi consci e inconsci, cliché e stereotipi” perché “dai pregiudizi alla discriminazione il passo è breve. C’è bisogno di un cambio radicale nella cultura” e c’è bisogno di “donne di successo, che siano modelli di ruolo e ispirino altre donne”.

La conclusione: “È un peccato che un congresso sulla parità di genere sia ancora necessario nel 2018. ‘ Empowering i talenti’ e non ‘ empowering le donne’ dovrebbe essere il punto, ma nel frattempo, lavoriamo per le donne”, perché “avremo uguaglianza solo quando smetteremo di cercarla fine a se stessa, quando il pensare e l’agire nella diversità saranno naturali e non un obiettivo”.

C’è però un aspetto inquietante e diffuso del discorso sul rapporto tra uomini e donne, ed è quello che c’entra con la violenza, sessuale o psicologica che sia, sulle donne. A darne voce al Forum è Shiori Ito , giornalista giapponese che ha raccontato la propria esperienza, quella di essere stata violentata da un collega “giornalista di alto livello” nel 2015, vicenda che l’ha costretta a un “cammino difficile”. Perché la sua richiesta di denuncia è stata respinta dalla polizia; e una volta trovate le prove e i testimoni, il tribunale ha comunque chiuso il suo caso.

Senza alcun sostegno, Shiori ha allora scelto la strada della denuncia in pubblico, ma questa scelta è ricaduta ancora su di lei, che è dovuta fuggire a Londra per mettere in salvo la propria vita e la propria famiglia. Sei mesi dopo, però, è cominciato il movimento di denuncia Me Too , e il New York Times ha raccontato la storia di Shiori, che è rimbalzata in Giappone.

Nel racconto pacato di Ito emergono tanti temi: lo “squilibrio di potere” che spesso esiste tra la vittima e il carnefice, la società giapponese che non protegge le donne, la potenzialità della Rete che “permette di far sentire la propria voce, ma dove si viene anche molestati”, la possibilità di “incoraggiarci, raccontarci e sostenerci” che oggi hanno le donne, l’importanza di credere nella verità che le donne raccontano e infine l’“educazione dei bambini e delle giovani generazioni, ma anche dei maschi adulti”.

Sessismo, discriminazione e violenza, seppure comportamenti diversi, richiedono tutti impegno non solo passivo (parlarne), ma attivo, e su più fronti. Fronti che ha elencato Rosemary McCarney , ambasciatrice del Canada presso l’Onu: gli uomini “devono essere partner nell’impegno”, perché questo genere di violenza non sia più tollerata; educare i piccoli ai propri diritti e alle responsabilità verso i loro coetanei; “stigmatizzare comportamenti negativi e cattive pratiche”; pretendere un “impegno politico al più alto livello” in questa lotta. L’“inclusione è una scelta” ha sintetizzato. O detto con le parole dell’attivista Farrah Khan: “Non è questione solo di aprire porte, ma di fare in modo che le donne siano sicure e ascoltate dove arrivano”.

Sarah Numico

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