Bookmark and Share

È il sistema economico globale che deve essere trasformato

Risponde Ulderico Sbarra, segretario generale regionale Cisl Umbria.

1- La globalizzazione è stata sottovalutata, in realtà oggi ci accorgiamo che ha prodotto enormi cambiamenti in molti ambiti. La rappresentanza è uno di questi: l’istinto di conservazione, l’arroccarsi nelle cose sicure, vecchie e conosciute ha riguardato anche il sindacato. Questo infatti, essendo costituito da dirigenti e delegati legati alla concezione fordista, non ha ancora trovato la via giusta per sviluppare la propria azione e allargare la rappresentanza anche agli inoccupati e ai precari. Nei rami alti del sindacato l’elaborazione e le idee sono in fermento da anni, ma tradurle in basso resta difficile: si incontrano, ancora, numerose resistenze sia organizzative che culturali. In tal senso, non aiuta nemmeno l’atteggiamento paternalista delle imprese. Ciò vale anche in Umbria.

2- La questione dei giovani, la loro rappresentanza, le loro condizioni e opportunità lavorative sono una riflessione centrale del sindacato. È giusto ribadire che ciò che ne determina la precarietà è il modello di sviluppo globale: quelli che vediamo sono solo gli effetti, che si cercano di arginare con gli strumenti della contrattazione e della mutualità (si pensi alla crescita del welfare aziendale). Ci sforziamo continuamente di aggiornarli e di adeguarli, ma il problema rimane la causa: un modello economico sbagliato che crea ingiustizia, disuguaglianza e insicurezza. È a questo livello che deve avvenire il cambiamento, altrimenti saremo condannati a rincorrere le emergenze, sempre con meno soluzioni e più difficoltà.

3- Anche questo è un frutto avvelenato del modello economico globalizzato, del neoliberismo che ha liberato l’individuo e mortificato lo Stato, così da rendere liberi capitali e merci che si spostano rapidamente senza vincoli e regole. Questa è una partita che attiene al sindacato internazionale e continentale, che purtroppo ha poco potere. Il sindacato cerca di valorizzare il territorio e, con imprese e istituzioni, gestire la produzione locale, cercando in un’azione comune le condizioni per mantenerla. Ma ciò risulta essere sempre di più un lavoro arduo. La ricerca di un’economia etica e della responsabilità sociale dell’impresa sono i compiti del sindacato delle imprese e delle istituzioni a livello locale, dove dobbiamo provare a trovare convergenze e interessi comuni.

4- La flessibilità assoluta è il mantra che ci consegna la globalizzazione, che fa preferire soggetti giovani, scolarizzati, disponibili, e facilmente accantonabili quando non sono più necessari. Il governo della flessibilità è un punto fondamentale, che può trovare una risposta solo dentro un percorso serio di politiche attive del lavoro, nel processo scuola- lavoro, nella formazione e nella riqualificazione. Una strumentazione dove l’Italia è in ritardo. Quel poco fatto è stato indebolito dalla pratica delle clientele e delle conoscenze, come è avvenuto per la formazione. La questione delle tutele deve essere affrontata nel mercato del lavoro e non più nel posto di lavoro: si tratta di un sistema che deve essere costruito e custodito con grande trasparenza e serietà. Altrimenti sarà una preziosa occasione persa.

5- La regione non ha risolto le sue fragilità e non è riuscita a invertire la tendenza al declino, tanto che oggi ci appare vecchia, isolata e più povera. I punti di fragilità sono molti e difficili da affrontare. La scelta da fare è quella della produttività, dato in sofferenza dagli anni ’90. Il modello di sviluppo economico umbro è evidentemente inefficace e, quindi, andrebbe modificato con uno più funzionale, come potrebbero essere i sistemi di lavoro locali e la convergenza con altre regioni. Si dovrebbe uscire dalla visione di regione “indistinta”, con filiere produttive a loro volta “indistinte”, per valorizzare meglio le specificità e le vocazioni territoriali. In termini produttivi, l’Umbria permane “una regione non-regione”.

Bookmark and Share