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Riparare ad un reato lavorando per gli altri

Non c’è solo il carcere come pena per chi commette un reato. Fuori dalle mura del penitenziario si possono svolgere una serie di attività lavorative che valgono come “riparazione del danno” e che allo stesso tempo permettono di reinserirsi nella società.

Ad occuparsi delle pene fuori dal carcere è un ufficio specifico dell’amministrazione penitenziaria detto Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale esterna), presente anche in Umbria nelle sedi di Perugia e Terni. “Il termine ‘rieducazione’ quando si parla del nostro lavoro è obsoleto. Obiettivo dell’operato dell’Uepe è riportare le persone al rispetto della legalità e alla vita nel contesto comunitario corrispondente alle regole” spiega la direttrice dell’Ufficio di Perugia Laura Borsani .

“La cosa che accomuna sia il lavoro del carcere sia quello delle misure alternative alla detenzione – sottolinea Borsani - è il principio dell’individualizzazione del trattamento. La persona cioè, va conosciuta nella sua dimensione personale, psicologica, ambientale e familiare, per poterla supportare al meglio nel progetto di reinserimento in società”.

Il reinserimento in società però non è possibile senza l’aiuto e la collaborazione della società stessa, ecco perchè i programmi studiati dall’Uepe si avvalgono spesso non solo del supporto delle istituzioni, ma anche del partenariato con associazioni e mondo del volontariato. “Abbiamo collaborato ad esempio con l’oratorio L’Astrolabio di Ponte D’Oddi e con Fontenuovo – racconta Borsani - , realtà che non solo hanno messo a disposizione lavori di pubblica utilità, ma hanno anche creato una rete all’interno della quale le persone che scontano la pena potessero ritrovare dei punti fermi di normalità”.

Tra i soggetti presi in carico dall’Uepe ci sono storie di vita e reati molto diversi. Si parla infatti di esecuzione penale esterna sia per coloro che sono ancora in carcere ma in regime di semilibertà, ovvero quelli che durante il giorno possono uscire ma che ad orari stabiliti devono rientrare in istituto; sia per i condannati in misura alternativa. Quest’ultima può essere ottenuta da detenuti a fine pena, ma anche da condannati a meno di 4 anni che in questo modo non passano dal carcere. Dal 2014 inoltre è stata introdotta la “messa alla prova”, secondo la quale un imputato per reati punibili con sanzione pecuniaria o detentiva fino a 4 anni di carcere - soprattutto reati stradali - , prima della fine del processo può richiedere la sospensione del procedimento ed essere affidato all’Uepe per svolgere lavori di pubblica utilità. “La necessità è quella di occupare positivamente il tempo libero dei detenuti che possono uscire durante il giorno, altrimenti c’è il rischio che possano ricadere nel reato” ricorda la direttrice dell’Uepe di Perugia. “È più facile lavorare con persone che hanno fatto l’esperienza del carcere – continua Borsani - , in quanto hanno più chiaro il concetto di libertà e cosa significa esserne privati. D’altra parte però il tasso di recidiva è più basso per coloro che non sono mai passati dal carcere grazie alle misure alternative, forse proprio per via della rete di supporto che cerchiamo di creare”.

Per quanto riguarda i discussi tempi della giustizia, Borsani precisa: “Non è il tempo di istruzione della misura alternativa ad essere lungo. Il nostro ufficio impiega massimo 4-5 mesi a costruire un programma personalizzato per ognuno dei quasi 900 casi che abbiamo in carico. Il problema sta nel lungo tempo che intercorre tra il reato e la condanna e tra la sentenza e l’esecuzione della stessa”. “Non dovrebbe esserci troppa distanza tra il fatto e la pena poichè questa poi perde di senso”.

Molte comunque sono le storie a lieto fine: “Anni fa abbiamo seguito un giovane di 20 anni finito in carcere per un omicidio legato alla Camorra. Una vita che sembrava già segnata nel suo triste epilogo – ricorda Borsani - . Invece, grazie a figure di riferimento e all’aiuto dei volontari della Misericordia, il giovane ha ripreso a studiare e, una volta libero, ha trovato lavoro presso una cooperativa sociale. È poi diventato un operatore socio sanitario, si è sposato e ora ha una famiglia felice, del tutto lontana dalla criminalità”.

Valentina Russo

I programmi studiati dall’Ufficio dell’esecuzione penale esterna si avvalgono spesso della collaborazione di associazioni e volontari

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