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Sempre di meno, sempre più anziani?

Idati demografici dell’Istat denotano una diminuzione generale della popolazione e, negli ultimi anni, un suo invecchiamento costante. Le previsioni demografiche suddivise per fasce di età e riguardanti la regione Umbria ci danno un’immagine sempre più spopolata e per giunta sempre più vecchia. Da precisare che si tratta di previsioni basate sul trend statistico degli ultimi anni, il cui andamento potrebbe subire effettivamente modifiche sul piano reale. Nelle riflessioni che seguono si parte dunque dal presupposto che questa possa essere la realtà futura se, in qualche misura, non si interviene sul piano economico, sociale e culturale. Quali possano essere le conseguenze su questi piani possiamo almeno ipotizzarlo e immaginarlo dal punto di vista sociologico facendo alcune riflessioni.

Meno giovani e più anziani Si tratta anzitutto di un fenomeno dovuto essenzialmente a due fattori. Da una parte l’innalzamento dell’età media della popolazione, dovuto a una qualità migliore della vita, e a condizioni migliori di salute tra gli anziani; dall’altra, una costante riduzione del tasso di fertilità. Su questo ultimo aspetto, il contributo fornito dalle donne immigrate, che in un primo momento ha potuto riequilibrare la situazione, oggi non sembra più colmare il gap che impedisce la riproduzione minima della popolazione (Save the Children, La maternità in Italia , 2018). Questo accade probabilmente perché, quando si percepiscono le difficoltà nel generare e far crescere figli, magari creandosi anche una famiglia, si manifesta un rapido adattamento della popolazione straniera ai comportamenti di riproduzione della popolazione autoctona e il tasso di fecondità scende rapidamente nel tempo, avvicinandosi sempre più a quello della popolazione locale. Per quanto concerne l’invecchiamento della popolazione, questo porta con sé anche un invecchiamento della popolazione attiva, con conseguenze a valanga.

Le conseguenze nel mondo del lavoro

Un primo effetto sarebbe nella riduzione di investimenti in processi innovativi, con il rischio di indebolimento della vitalità imprenditoriale e conseguentemente anche della domanda di lavoro. La scarsità di lavoro potrebbe spingere la popolazione più giovane ad allontanarsi dal contesto locale. La componente più giovane della popolazione, tendenzialmente più aperta al cambiamento e utile per la vivacità economica del territorio, potrebbe “scegliere” la strada di abbandonare il territorio per cercare condizioni economiche più favorevoli, e costruendosi un futuro oltre il territorio locale. Il processo di invecchiamento po- trebbe in questo modo inasprirsi, con il conseguente aumento dell’età media e facendo sì che l’evoluzione professionale e i progetti familiari si realizzino al di fuori dell’Umbria.

Tre anziani per ogni giovane

Lo spopolamento e il probabile aumento della popolazione anziana potrebbe condurre anche alla nascita di zone residenziali popolate in prevalenza da anziani, con tutto ciò che ne consegue sul piano economico e sociale: gli anziani in condizioni di fragilità sociale sarebbero sempre più a rischio di isolamento. Sui giovani che restano graverebbe il peso della cura delle persone anziane (nel 2065, circa tre anziani ogni giovane), con un legame sociale sempre più impoverito dalla quasi assenza di famiglie e forze di lavoro giovani, e con un welfare sempre più in affanno. L’impoverimento generale dal punto di vista economico, ma anche sociale e umano, concorrerebbe al rischio di una più profonda frattura generazionale che potrebbe comportare il collasso sociale, oltre che economico, del nostro “cuore verde d’Italia”.

Come invertire la rotta?

Cosa fare per evitare una previsione così drammatica sul piano demografico? Non è certo cosa semplice; risposte sicure non ne abbiamo, ma alcune certezze sì. Rimodellare la società sulla base dell’incremento di longevità, investire sull’incremento della fertilità nel nostro Paese e sulle tre dimensioni del welfare (mercato, società e Stato) può essere una prevenzione attuabile. Lavorare quindi sull’idea di business (mercato), sul legame sociale e familiare (società), e investire nelle politiche sociali (Stato e altri), tutto nell’ottica di sostenere le famiglie, la genitorialità e gli anziani, favorendo la riproduzione sociale.

È certo che sui curricula non si denunciano gli anziani in casa o i figli appena nati, ma solo i master conseguiti. È certo che, se qualcuno assume una donna in gravidanza, passa per eroe e conquista le news. È certo che la maternità resta ancora un fatto privato anziché un bene sociale, come invece si sottolinea in tutti gli studi di sociologia. È certo infine che i legami sociali della nostra società post-moderna sono sempre più deboli; e le difficoltà di gestione del quotidiano nelle famiglie, sempre più complesse.

Sul piano del mercato è possibile la riformulazione (e non solo) dei modelli di business, creando i meccanismi necessari per poter sostenere gli uomini e le donne che, oltre a un lavoro e a una carriera, hanno anche il desiderio e il coraggio di diventare genitori. In questo senso si potrebbe acquisire una maggiore propen- sione agli orari flessibili, e i datori di lavoro potrebbero creare condizioni favorevoli affinché i dipendenti possano avere la serenità mentale e la libertà di scelta sul piano personale e evolutivo. In questo senso ci sono già esperienze di realtà imprenditoriali virtuose che hanno dimostrato la loro efficacia, facendo addirittura organizzare mensilmente gli orari agli stessi dipendenti con alti margini di flessibilità, puntando al risultato finale piuttosto che al processo.

Sul piano sociale e culturale si può lavorare con attenzione alle esigenze sociali del territorio (prima che questo si spopoli), rinforzando il legame sociale, stimolando la cultura dell’incontro, in particolare tra generazioni lontane. Anche su questo piano ci sono esempi virtuosi in cui asili nido sono stati realizzati in contesti residenziali per anziani soli, in cui le diverse generazioni si incontrano e si sostengono reciprocamente con l’aiuto e la guida degli educatori in progetti di crescita personale e sociale fra generazioni diverse.

Sul piano delle politiche sociali invece è necessario incrementare e soprattutto stabilizzare le diverse formule di sostegno alla maternità/paternità con l’ampliamento dei posti negli asili nido, ove necessario, o la distribuzione di sostegni economici attraverso agevolazioni a seconda del valore Isee. Anche su questo piano ci sono esempi di buone prassi, non solo nazionali come i voucher babysitting e il bonus bebè, ma anche della nostra regione, come i Family Help. Tuttavia tali sostegni possono avere effetto sull’incremento del tasso di natalità soltanto attraverso la loro stabilizzazione e la certezza da parte delle famiglie che, indipendentemente dall’anno di nascita dei figli, è possibile usufruirne e avere un sostegno utile dallo Stato.

Esempi di buone pratiche dunque sono sotto gli occhi di tutti: basterebbe una maggiore cura e attenzione verso quella forza sociale propulsiva rappresentata proprio dalla famiglia e dai figli.

Rosita Garzi

Docente di Sociologia dei processi economici del lavoro all’Università di Perugia

Per evitare il collasso occorrerà lavorare sul modello di mercato, e rafforzare i legami sociali e familiari.

Esistono esempi di buone prassi, come i Family Help nella nostra regione, tuttavia vanno resi il più stabili e affidabili possibile

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