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Persone immature, e il matrimonio è nullo

Perché i matrimoni finiscono? Molti se lo chiedono e molte sono le risposte che vengono formulate da psicologi, consulenti familiari, sacerdoti, istituti di ricerca e chi più ne ha più ne metta. Difficile, però, trovare in questo elenco il Tribunale ecclesiastico dove, trattando delle cause di nullità, i matrimoni falliti sono pane quotidiano. È vero che deve valutare se il sacramento è stato validamente celebrato e non se il matrimonio è stato felice oppure no, eppure il dialogo quotidiano con le persone offre una comprensione interessante della crisi matrimoniale. Ne parliamo con Giorgio Bencini , Patrono stabile (avvocato d’ufficio) del Tribunale ecclesiastico interdiocesano umbro, che con il collega Giuseppe Carpita oltre ad assistere le persone nel procedimento per la causa di nullità matrimoniale, svolgono anche un servizio di consulenza, gratuito, per tutti coloro che vogliono capire se vi sono le condizioni per introdurre la causa e come fare. Nel 2017 hanno effettuato 668 consulenze, esaminato 184 casi dei quali solo 97 hanno avviato l’iter per la causa. Solitamente il coniuge separato prende in considerazione la causa di nullità dopo aver concluso il percorso civile della separazione e del divorzio con la definizione dei relativi obblighi e oneri e la inizia spinto dal desiderio di poter celebrare in Chiesa la nuova unione. Sono in numero minore, ma in crescita, le richieste che nascono dal desiderio di fare chiarezza sul proprio percorso di vita e di fede, spesso su suggerimento del movimento o associazione cattolica di cui fanno parte o dello stesso parroco. “Chi viene con la necessità di celebrare un nuovo matrimonio forse si domanda poco l’aspetto sacramentale del matrimonio, cosa è stato o cosa non è stato. A queste persone - racconta Bencini - cerco di far capire che hanno celebrato un matrimonio che nessuno può cancellare come esperienza vissuta anche se può essere mancato l’aspetto sacramentale”. E il dialogo parte da lì, da “che cos’è un sacramento, che differenza c’è tra un Battesimo e una Comunione e il sacramento del Matrimonio nel quale è richiesta una libertà oltre che fisica anche interiore”. Il colloquio è sempre strettamente riservato (salvo poche eccezioni su richiesta della persona stessa) e diventa una sorta di confessione ma “nel senso che con le persone si ricostruisce un mondo che teoricamente dovrebbero conoscere e che in realtà non conoscono”.

Invece, prosegue Bencini, “chi viene indipendentemente dalla necessità di riaccompagnarsi ha già fatto un passaggio del genere e quindi vuole sapere se quel matrimonio che gli è andato male è stato comunque un sacramento e quindi fa parte del proprio bagaglio di vita e devono tenerselo in quella maniera, chiamiamola ‘una croce’, oppure se invece è stato un passaggio della vita magari fondamentale per il raggiungimento della salvezza, ma non come sacramento”.

Nel colloquio non si chiede di raccontare la vita matrimoniale ma di capire se siano riscontrabili e dimostrabili eventuali cause di nullità del sacramento celebrato.

“Cerchiamo di capire essenzialmente due cose spiega Bencini - : con quali intenzioni una persona si è avvicinata al matrimonio, e dunque se la volontà era analoga o diciamo confacente rispetto a quanto la Chiesa chiede, e poi cerchiamo di capire se la persona aveva delle riserve o meno sull’indissolubilità del matrimonio, sulla procreazione, sulla fedeltà oppure se quella persona era matura, che è il 99% dell’oggetto delle indagini”. È soprattutto su questo punto che il colloquio, come anche l’ascolto dei testimoni, attinge alla psicologia (anche con l’aiuto di consulenti psicologi ove necessario) per poter raggiungere un responso. Negli anni i Patroni hanno affinato le capacità di intuito e la conoscenza delle dinamiche psicologiche. “Per capire la maturità di una persona bisogna necessariamente ripartire da chi è la persona e quindi le domande partono dal contesto familiare in cui uno è cresciuto, quindi ai rapporti col padre, con la madre, l’esperienza nella scuola, perché il dato fondamentale per noi, detto in maniera semplicistica, è che una persona per essere matura ha bisogno di crescere in un contesto familiare che a cominciare dalla dimensione affettiva lo prepari a quelle che sono le difficoltà della vita“.

L’esperienza mostra che “quanto più una persona ha avuto problemi nell’ambito familiare, tanto più è facile che queste fragilità o queste lacune se le porti anche nel mondo affettivo e quindi nel matrimonio”.

Facile, ma non è scontato l’esito, altrimenti sarebbe sufficiente un esame psicologico prima del matrimonio per evitare i danni.

Ma così non è, sia per dinamiche del tutto umane sia perché la “grazia” che i coniugi ricevono nel sacramento del matrimonio è un aiuto concreto per far sì che le difficoltà possano essere superate.

Di tutte le consulenze, e dunque i colloqui, fatte, solo una metà circa decide di passare alla causa vera e propria, e i motivi sono diversi. Può capitare che non c’è più interesse perché si è concluso il rapporto con la persona con cui si sarebbe voluto iniziare la nuova vita matrimoniale, oppure che le persone non se la sentano di fare un percorso comunque impegnativo e anche, peggio ancora, che non si riconoscono nel percorso fatto e non accettano di mettersi in discussione accogliendo anche la possibilità che la nullità dia dovuta alla sua immaturità.

In genere, però, il percorso è positivo anche se non arriva ad avviare la causa. “Le persone hanno una sete di conoscere e di sentirsi dire che forse se anche hanno sbagliato, se hanno tradito, con tutti i sensi di colpa che si portano dietro, è anche perché se non c’erano le condizioni di partenza umane poi è difficile che la fede ti possa aiutare”. Un aspetto di cui forse non si parla abbastanza nell’avvicinarsi al matrimonio è proprio la dimensione umana della relazione che si costruisce.

“È vero che la fede aiuta tantissimo ma a volte - sottolinea Bencini - ci sono persone talmente inglobate che la fede invece di essere uno strumento di aiuto è stato uno strumento che gli ha fatto ancora più confusione”. Un esempio è la storia di un uomo che “cercava una persona religiosa come lui con cui andare alla messa. Ha incontrato una donna molto brava che andava a messa e per lui era la donna della sua vita senza valutare, però, tutti gli altri aspetti”.

Anche nell’esperienza dei Patroni stabili emergono casi di violenza in famiglia, tra i coniugi. Costituiscono un 20% delle situazioni che si presentano. “Di solito sono le donne, purtroppo è matematico, nonostante l’emancipazione di cui si parla tanto” commenta Bencini. Anche quando il gesto violento non è frequente c’è sempre un atteggiamento violento. “Vedo tantissime situazioni di donne fortemente sminuite, donne che anche solo un po’ fragili alla fine subiscono perché ogni giorno sentono ripetersi ‘tanto tu non vali’ e alla fine ci credono”. Sono queste, sottolinea Bencini, “le situazioni più facili da identificare perché quanto più la persona non ha autostima tanto più tende ad adeguarsi ai bisogni e alle aspettative dell’altro e quindi tende ad annientarsi, e nel momento in cui sceglie di sposarsi in realtà cerca una protezione e di fatto non esprime il suo sentire e il suo volere. Poi magari nella vita matrimoniale o diventando madre o anche tramite un percorso di fede inizia a riscoprire una propria identità e quindi magari inizia a ribellarsi a una situazione di succubanza e poi a separarsi dal marito per arrivare infine qui a chiedere la nullità”.

Maria Rita Valli

Un aspetto di cui forse non si parla abbastanza nell’avvicinarsi al matrimonio è proprio la dimensione umana della relazione che si costruisce. E il 20% di situazioni presentano casi di violenza in famiglia Nel 2017 i Patroni stabili del Tribunale hanno effettuato 668 consulenze, esaminato 184 casi dei quali solo 97 hanno avviato l’iter per la causa. A colloquio con Giorgio Bencini, patrono stabile del tribunale

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