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L’economia riparte, il lavoro invece no

La Banca d’Italia ha presentato l’ultimo aggiornamento congiunturale sull’economia dell’Umbria. Il temporale sembra passato, ci sono ampie schiarite, ma con ancora tante nubi. La nostra - ha detto il direttore della filiale di Perugia della Banca d’Italia, Nicola Barbera è una regione di “debolezze strutturali ed eccellenze straordinarie”. La crisi planetaria cominciata nel 2007 sembra passata e l’economia nei Paesi industriali e in quelli in via di sviluppo si è rimessa in marcia.

Un quadro internazionale in miglioramento del quale - ha ricordato Mario Ferrara , dirigente della filiale di Perugia - sta beneficiando anche l’Italia, che però “continua a essere il grande malato europeo”.

In Umbria poi gli effetti della “grande crisi” sono stati ancora più devastanti della media italiana, tanto da avvicinarla sempre di più a situazioni tipiche delle regioni del Meridione. Le analisi della Banca dicono che “nei primi nove mesi del 2017 la crescita dell’economia umbra si è rafforzata. Le esportazioni hanno ripreso vigore e la domanda interna si è consolidata. Le aspet- tative degli operatori delineano per i prossimi mesi un’evoluzione positiva”.

Tutto bene, dunque? Non proprio, perché non si sono creati nuovi posti di lavoro, con decine di aziende - grandi e piccole - in crisi, e con ristrutturazioni che comportano sempre tagli a salari e organico. Lo studio della Banca d’Italia non manca di evidenziare i problemi e le criticità della situazione umbra, che però sono inseriti e valutati in un contesto economico caratterizzato da una lenta e faticosa ripresa che dura ormai da tre anni. Le aziende più grandi sono tornate a investire, le esportazioni crescono e c’è la ripresa dei consumi. “Tanti ottimi segnali di fiducia nel futuro” ha commentato il direttore della filiale perugina, Barbera.

“L’economia che va - L’aggiornamento congiunturale” è stato presentato mercoledì scorso all’Università di Perugia, in un’aula affollata da studenti dei dipartimenti di Economia e Scienze politiche, presenti anche tanti imprenditori, docenti, e rappresentanti delle associazioni di categoria e dei sindacati. Nel settore industriale il fatturato continua a crescere, soprattutto nella meccanica e nella chimica, mentre per la siderurgia le Acciaierie di Terni stanno recuperando il calo di produzione dovuto alla crisi degli anni scorsi. Grazie agli incentivi introdotti con il “Piano industria 4.0” molte aziende sono tornate a investire e le banche a prestare loro soldi.

Nel primo semestre 2017 le esportazioni umbre sono cresciute del 5%, trainate da siderurgia, tessile e abbigliamento. Ricercatori e studiosi hanno individuato in Italia centrale 73 “aree di vitalità industriale”, e di queste ben 11 si trovano in Umbria, tutte in provincia di Perugia. Operano nel tessile e abbigliamento, meccanica e alimentare.

“Un dato sorprendente” è stato definito da Paolo Guaitini del Nucleo per la ricerca economica della Banca d’Italia, che però ha anche sottolineato come la maggior parte di queste aziende sono state classificate dagli stessi ricercatori nella casella “a bassa tecnologia”. Circostanza questa che apre il capitolo dei problemi e limiti dell’economia umbra.

Una crescita senza lavoro e che ignora le lauree. “L’occupazione non ha beneficiato del migliorato quadro congiunturale, rimanendo nel complesso stabile” si legge nel report della Banca. Con il tasso di disoccupazione salito al 10,5%, quasi un punto percentuale in più del 2016. Calano i lavoratori autonomi e crescono i quelli dipendenti, con il prevalere dei contratti a termine: in Umbria, per le nuove assunzioni, sono ormai circa il 90%. Dunque lavoro precario e salari bassi.

Un fenoneno - ha spiegato Mario Ferrara - comune a tutta l’area euro, dove si registra un preoccupante aumento di quelli che sono definiti lavoratori sottoccupati”. Diminuisce infatti il tasso di disoccupazione, ma non aumenta il numero delle ore lavorate. Significa che lavora più gente, con contratti flessibili, guadagnando un po’ meno. “Ma è sostenibile una crescita con salari che non crescono?” si è chiesto Ferrara.

In Umbria poi c’è “una debole domanda di lavoratori qualificati”. Perché c’è poca innovazione. La percentuale di offerte di lavoro per laureati è del 10%, inferiore alla media delle regioni del Sud. Peggio di noi stanno soltanto Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna. Il che costringe i nostri giovani a lasciare, in percentuale maggiore della media nazionale, una regione che si vanta di essere “terra di cultura e di università”.

“Piccolo non è più bello”. Lo studio della Banca d’Italia dimostra che le aziende con meno di 20 dipendenti non partecipano a questa ripartenza della economia locale. Non investono, non sono in grado di muoversi sui mercati internazionali e hanno maggiori difficoltà per accedere al credito. Continua la crisi dell’edilizia, ma c’è un cauto ottimismo sulla possibilità che possa beneficiare delle attività per la ricostruzione nelle zone terremotate.

Terremoto che ha messo in crisi il turismo. Meno arrivi, meno presenze, in particolare dei turisti italiani. Dal mese di settembre sembra delinearsi una ripresa. L’Umbria però - ha evidenziato Ferrara - con i suoi tesori culturali e ambientali non sa sfruttare le sue potenzialità. Il turismo infatti rappresenta appena il 4% del suo Pil.

Enzo Ferrini

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