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Tenerezza è teologia, non “tenerume”

“Una rivoluzione della tenerezza”. Ad invocarla, tornando su un tema a lui caro, è stato il Papa ricevendo in udienza, il 13 settembre, i partecipanti al convegno “La teologia della tenerezza in Papa Francesco”, svoltosi ad Assisi e conclusosi con la proposta di celebrare un anno giubilare della Divina Tenerezza. Ne abbiamo parlato con mons. Carlo Rocchetta , teologo, fondatore e responsabile del Centro familiare “Casa della Tenerezza” di Perugia: comunità di condivisione di sposi, coniugi soli, famiglie, laici, persone consacrate.

Come è andata la vostra tregiorni?

“Siamo entusiasti. L’udienza del Santo Padre ci ha dato le direttive fondamentali: dobbiamo lavorare ancora, anche se sono ormai quindici anni che ci occupiamo di teologia della tenerezza. Con l’udienza di Francesco siamo andati oltre il nostro convegno, che è stato davvero ricchissimo di spunti: antropologici, biblici, di teologia sistematica, morali, pastorali… Confidiamo di pubblicare presto gli atti”.

I lavori si sono chiusi con la proposta di celebrare un anno giubilare della Divina Tenerezza. Perché?

“Parafrasando la celeberrima frase di Dostoevskij, possiamo dire che la tenerezza, insieme con la misericordia, salverà il mondo. Tenerezza e misericordia, infatti, vanno insieme. Ci vorrà magari del tempo, ma come sarebbe bello che la Chiesa facesse un bagno nella tenerezza di Dio e ritrovasse le radici della tenerezza! I preti, gli sposi, tutti ne abbiamo un estremo bisogno. Ci vogliono scuole della tenerezza: noi le facciamo con i fidanzati, le giovani coppie e le coppie in difficoltà, ma è un’esperienza che andrebbe esportata in tutta Italia”.

Nel discorso che vi ha indirizzato durante l’udienza, il Papa ha ammonito: “La teologia non può essere astratta. Se fosse astratta, sarebbe ideologia”. È la tenerezza, a suo parere, l’antidoto a questa possibile deriva?

“Secondo me, sì. La tenerezza non si presenta soltanto come un fatto legato all’intimità della coppia, ha un orizzonte molto più vasto: è un modo di pensare, di amare, di relazionarsi. Io la chiamo ‘cultura della conto, vivialità’. Attenzione, però, non si tratta di cultura della remissività, ma della capacità di vincere il male con il bene, di non far prevalere la violenza. Il Papa tiene molto a questa dimensione ‘politica’ della tenerezza, dove il termine va riferito alla pòlis , e dunque al segreto di una convivenza serena e pacifica nella città degli uomini. La dimensione ‘politica’ della tenerezza ha a che fare con il cuore dell’uomo e contribuisce a umanizzare le relazioni, la società, i rapporti interpersonali, basandoli non sull’avere ma sull’essere. Francesco ha scelto la tenerezza come cambio di paradigma: dobbiamo ripartire da qui, altrimenti cadiamo nel razionalismo, che ha fatto tanti mali”.

L’accento va messo non sulla prassi, ma sul “sentire”, ha detto ancora il Papa: come evitare, però, che soprattutto i giovani scivolino sul sentimentalismo?

“Anzitutto distinguendo il ‘tenerume’ dalla tenerezza. La tenerezza non ha niente a che fare con la svenevolezza o le smancerie: è una virtù propria di chi è forte, di chi si lascia coinvolgere, di chi sa sentire tutta la persona, nei suoi bisogni fondamentali. Il Papa non parla mai di tenerezza fine a se stessa, ma di ‘sentire’ come scelta, come modo di amare e di essere amati. In questo senso, è urgente un ripensamento del cogito cartesiano: ha un suo valore, perché la ragione è una facoltà che caratterizza l’uomo in quanto tale, che però è capace anche di amare e di essere amato. L’uomo non è solo pensiero, ma capacità di amare: è immagine di Dio, e Dio è amore. Certamente, perché tutto ciò non venga equivoca- va spiegato bene. I giovani, più che i grandi discorsi, ‘sentono’ l’autenticità della testimonianza. La tenerezza è l’arte di amare, per usare l’espressione di Erich Fromm. Coincide con la maturità affettiva: se una persona è capace di tenerezza è matura, altrimenti finisce per chiudersi nel proprio narcisismo”.

Serve, quindi, una pedagogia della tenerezza? Quali i passi da compiere, in ambito teologico ma anche pastorale?

“È proprio in questa prospettiva che va inserita la proposta di un anno giubilare sulla tenerezza. Bisogna inserire la tenerezza come materia nelle facoltà teologiche, per indagarne i fondamenti antropologici e cristologici. A Napoli, ad esempio, lo hanno già fatto. Occorre fare in modo che il messaggio della tenerezza passi a tutti i livelli. All’Università di Macerata, attualmente, c’è un corso di Teologia della tenerezza. Se si comincia a pensare a questa materia nelle facoltà laiche, perché non farlo anche in quelle ecclesiastiche? Di tenerezza, inoltre, si dovrebbe parlare anche nei corsi per i fidanzati e nei percorsi per le coppie in crisi. Alla Casa della Tenerezza lo facciamo regolarmente, e i colloqui per le coppie in difficoltà sono circa 100 al mese”.

M. Michela Nicolais

I figli delle coppie partecipanti al convegno in udienza dal Papa

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