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L’economia cresce ma non per tutti

Come va l’economia in Umbria? Benino, anche se non sono ancora state guarite tutte le ferite della grande crisi cominciata nel 2007. “Nel 2017 - si legge nell’ultimo rapporto annuale della Banca d’Italia - le condizioni dell’economia umbra sono migliorate, favorite dal consolidamento di consumi e investimenti e dall’espansione delle esportazioni. Le attese degli operatori prefigurano un’evoluzione positiva anche per l’anno in corso, seppure in un clima di maggiore incertezza”.

Sfogliando le oltre 100 pagine del rapporto, ricco di dati e analisi, si apprende però che questa risalita dal tunnel della crisi non è per tutti, dato che - si legge - “il grado di disuguaglianza nella distribuzione del reddito risulta in crescita”, così come cresce “la quota di famiglie con un livello di consumi inferiore allo standard minimo accettabile”. Quelle che nelle statistiche vengono definite “in povertà assoluta” e che sono il 10,9 per cento di tutte le famiglie dell’Umbria, percentuale “in crescita rispetto al biennio precedente e superiore alla media nazionale che è del 6,3 per cento”.

Per tanti giovani (più del 30 per cen- to) il lavoro resta un miraggio. E chi lo trova deve accontentarsi di quello precario. In Umbria - dice la Banca d’Italia - “dopo il calo osservato nel 2016, lo scorso anno i livelli occupazionali sono rimasti sostanzialmente stabili”. Grazie però al lavoro precario. Nel 2017 infatti i nuovi contratti a tempo indeterminato (per il sognato “posto fisso”) sono stati meno di 11.000 mentre quelli a tempo determinato quasi 64.000! Lavori precari e con basse qualifiche, perché anche nella nostra regione, con una percentuale di laureati superiore alla media nazionale, le aziende vogliono soprattutto operai specializzati e non “dottori”.

Con la conseguenza della cosiddetta “fuga dei cervelli” dall’Italia: nel 2016 sono stati 10.000. Infatti “tra gli aspetti che caratterizzano la struttura produttiva italiana rispetto a quella delle altre principali economie avanzate è detto nel rapporto - vi è un minore utilizzo di personale qualificato.

In media, tra il 2012 e il 2016, in Italia la quota degli occupati in possesso di una laurea si è attestata al 20,3 per cento, a fronte del 32,6 rilevato nel complesso dell’Unione europea. Il valore registrato in Umbria (21,7) è superiore alla media nazionale”. Comunque, anche nella nostra regione con importanti università “una quota significativa di giovani laureati” hanno dovuto accettare “attività lavorative che richiedono competenze inferiori a quelle acquisite o non attinenti alla tipologia di studi effettuati”.

Quello che colpisce, e in parte spiega il perché di un’economia umbra che cresce meno di quella del Centro Italia, è che sono soprattutto le grandi aziende a non volere i “dottori”. “La minore propensione ad assumere personale altamente qualificato in Umbria rispetto alla media nazionale - si legge ancora nel rapporto - risulta più accentuata per le imprese di maggiori dimensioni e per quelle operanti nei settori a medio-alta intensità di tecnologia e conoscenza”.

Enzo Ferrini

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