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Può un farmaco aiutare un ragazzino che si sente incerto sul proprio sesso?

Un ragazzino che “si sente” ragazzina (e viceversa) e allo stesso tempo presenta comportamenti autolesionistici, ansia, depressione, a volte anche disturbi dello spettro autistico: gli esperti del settore chiamano questa condizione “disforia di genere”, cioè un disallineamento del proprio genere percepito rispetto a quello di nascita. Da diversi anni viene proposto come soluzione un percorso farmacologico che prevede il blocco della pubertà: un periodo di tempo durante il quale si ferma la crescita fisica del corpo, che non si sviluppa secondo gli ormoni nativi (niente peli e pomo d’Adamo per i maschi, né seno e ciclo mestruale per le femmine, tanto per fare qualche esempio) ma resta in un “limbo” preadolescenziale. Lo scopo sarebbe quello di “dare tempo” al ragazzino di capire quale sia effettivamente il proprio genere di appartenenza, senza la “minaccia” del corpo che si sta formando nella direzione opposta a quella “desiderata”.

Il farmaco si chiama triptorelina (Trp); la sua somministrazione va iniziata alle soglie dello sviluppo puberale (12 anni circa) e dovrebbe proseguire fino a quando è possibile continuare con i cosiddetti ormoni cross sex (circa 16 anni), che possono far cambiare lo sviluppo nella direzione opposta a quella del genere di nascita. Ogni eventuale intervento chirurgico per completare la transizione fra i generi può essere effettuato dai 18 anni in poi, ma va precisato che non è obbligatorio ricostruire/demolire genitali e/o altre parti del corpo: ogni transizione è un percorso a sé, e termina quando una persona percepisce di aver raggiunto la condizione adeguata per sé. Chiaramente, se nel frattempo si cambia idea, si può interrompere il trattamento. Una soluzione possibile? Sì, secondo l’Aifa, Agenzia di farmacovigilanza italiana, che da poco ha inserito questo farmaco nell’elenco di quelli rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, indicando come modalità di prescrizione le indicazioni dello scorso luglio del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), interpellato a proposito.

L’argomento è seguito da mesi dalla stampa, e la polemica è accesa.

Chi scrive ha votato contro il testo formulato dai colleghi del Cnb, argomentando in una nota allegata.

L’intera documentazione si può leggere nel sito del Comitato ( http://bioetica.governo.it/it/documenti/par eri-e-risposte/in-merito-alla-richiesta-di-aifa- sulla-eticita-dell-uso-del-farmacotriptorelina- per-il-trattamento-diadolescenti- con-disforia-di-genere-dg ).

Considerazioni critiche analoghe alle mie sono state espresse dall’associazione Scienza & Vita insieme al Centro studi Livatino. Provando a sintetizzare i punti principali: innanzitutto, mancano evidenze scientifiche per l’uso di questo farmaco, che è prescritto in modalità “off label”, cioè al di fuori dell’uso autorizzato. In altre parole, non ci sono state sperimentazioni rigorose per questa finalità. La Trp, infatti, è autorizzata per bloccare le pubertà precoci, cioè patologiche, quando lo sviluppo avviene a circa 6-7 anni, e non quelle fisiologiche, cioè quelle che avvengono all’età giusta. Quindi gli effetti avversi e collaterali e le conseguenze a lungo termine sono noti solo per l’uso della Trp in presenza di uno sviluppo patologico; non è scientificamente corretto, se non si sperimenta, ipotizzare che in una condizione totalmente diversa le conseguenze sarebbero le stesse. La letteratura mostra solo un caso, di una persona, il cui effetto è stato monitorato a lungo termine; e solo uno studio completo su 70 ragazzini. Scarsa letteratura, quindi, ma non solo: se il corpo blocca la sua crescita, non si può dire lo stesso della maturità cognitiva e psicologica. Si rimane bambini di aspetto, ma la mente? Che ne è di questi ragazzini dal corpo bambino e dalla psiche adolescente? E poiché corpo e mente non sono dissociati, che succede quando gli ormoni nativi vengono spenti farmacologicamente, fra i 12 e i 16 anni?

C’è poi l’enorme problema del consenso informato: legalmente devono essere i genitori a darlo, ma chiaramente il minore deve esprimere il proprio. Ma come si può a 12 anni capire le conseguenze di una manipolazione tanto pesante sul proprio corpo? Come si può veramente comprendere a 12 anni che una volta iniziata la Trp, se si cambia idea e si interrompe, non si sa se da adulti si avrà la capacità di procreare? Non ci sono dati scientifici sufficienti a saperlo, ora come ora. La quasi totalità di coloro che iniziano questo percorso continua con gli ormoni cross sex , andando quindi incontro a sterilità. Ma cosa ne sa un ragazzino a 12 anni, o anche a 16, di cosa significhi poter avere un figlio, una volta adulti? Si può parlare di “consenso informato”? E siamo veramente sicuri che una manipolazione così pesante rappresenti una soluzione alla disforia di genere?

Assuntina Morresi

La “disforia di genere” genera comportamenti autolesionistici, ansia, depressione. Ora in Italia il Servizio sanitario ha esteso l’uso (e il rimborso) della Trp somministrata agli adolescenti (dai 12 anni circa) per bloccare lo sviluppo puberale. Molti, però i dubbi e i problemi aperti

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