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Grazie alla bicicletta ha imparato a volare

Il suo punto di debolezza è diventato quello di forza. Con questo obiettivo e tanta fede Jenny Narcisi , calabrese di nascita ma umbra di adozione, è riuscita a raggiungere risultati importanti nello sport, come nella vita, nonostante sia affetta da macrosomia (una patologia che evidenzia una differenza di volume tra gli arti inferiori), una paralisi neuromuscolare e un blocco meccanico della caviglia. Da Cosenza alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro il passo non è stato breve, ma la sua determinazione e la sua forza interiore hanno avuto la meglio. A quattordici anni la timida Jenny si è avvicinata alla bicicletta, grazie alla quale è riuscita a riaccendere nei suoi occhi quella fiamma e quella gioia che le hanno permesso di accettare la sua disabilità riscoprendo l’amore per la vita. “Non avrei mai immaginato di arrivare a gareggiare a questi livelli - racconta.

- Le Paralimpiadi erano molto lontane dalla mia idea. Non mi sarei mai sognata di poter entrare in Nazionale perché, fino a qualche anno prima, il mio obiettivo era solo quello di potere tornare in sella a una bici, visto che per diversi anni l’avevo abbandonata per motivi di studio.

Doveva andare così. Quando ci sono rimontata, sono riuscita ad arrivare alle Paralimpiadi 2016. La bici mi ha salvato la vita. Quella gamba che ho tanto odiato è stata il mio motore per affrontare nel 2015 il mio primo Mondiale in Svizzera, dove ho rappresentato con la maglia azzurra un’intera nazione, con la gente che ci incitava e che credeva in quello che stavamo facendo. Ho provato un’emozione forte, la stessa che provo ancora oggi quando gareggio”.

“Quando mi dicevano che sarei potuta andare alle Paralimpiadi continua Jenny - non volevo crederci; invece dalla mia prima convocazione, avvenuta nel luglio 2015, alla manifestazione di Rio de Janeiro, che si è tenuta nel settembre 2016, è passato poco più di un anno. Quello che mi è piaciuto di più è stato vivere nel villaggio olimpico. Ognuno degli atleti paralimpici era come se fosse segnato da qualche cosa di profondo, dalla vita: eravamo un’unica famiglia anche se composta da persone di nazioni diverse. È vero, c’erano la competizione, i podi da conquistare, ma eravamo tutti lì per lo stesso motivo. Penso che, come ama lo sport un atleta paralimpico, non lo fa nessun professionista in egual misura, non lo prova con la stessa intensità. Siamo persone che sono finite nello sport per ritrovare una gioia”. Jenny non solo ha trovato una grande forza interiore per reagire ma si è affidata anche alle mani di Dio.

“Sono credente - dice - e credo che tutto accada per un motivo. Tutto è intrecciato. Quando ti capita qualcosa di brutto, ti viene da chiedere ‘perché è successo proprio a me?’. Io penso che c’è sempre un aspetto meno negativo per analizzare la situazione.

Credo che con la mia storia posso aiutare tante persone, soprattutto i bambini che sono quelli a cui prevalentemente mi rivolgo.

Rispecchiano me da piccola, la mia parte più sofferente. Quando vado nelle scuole e gli racconto la mia storia, li vedo sorridere e ne sono contenta. Io avevo paura di fare cose come correre, uscire con le amiche...

e la bicicletta mi ha aiutato a superare questi timori. Se non avessi avuto la fede, non ce l’avrei fatta. Mi sono affidata a Dio e le cose sono successe, questo dice tutto”.

Luana Pioppi

Un primo piano di Jenny Narcisi. Nella fotosopra Jenny alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro

“Credo che con la mia storia - racconta - posso aiutare tante persone, soprattutto i bambini, che sono coloro a cui prevalentemente mi rivolgo”

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