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Progetto di comunione

Il Consiglio pastorale esisteva nelle nostre parrocchie prima che fossero riunite in Unità pastorale, fin da quando la norma canonica lo ha reso possibile. Chi scrive ne ha fatto parte fin da allora (fine anni 80 del secolo scorso) e al tempo il Consiglio si riuniva non più di una o due volte l’anno per discutere di aspetti operativi o meglio per esprimere un parere sulle proposte del parroco.

Poi sono arrivate le Unità pastorali e nella nostra sono ormai più di dieci anni che il Consiglio pastorale è unico e interparrocchiale. All’inizio non è cambiato molto anche se in effetti si sono fatti passi avanti quali l’approvazione del primo progetto pastorale dell’Up e l’organizzazione delle equipe di lavoro (amministrazione, segreteria, Caritas ed evangelizzazione).

Il bisogno di fare comunione

Nel frattempo cinque anni sono volati e il Consiglio è stato rinnovato e con esso anche il progetto pastorale (“Avevano un cuor solo e un’anima sola”), elaborato in maniera condivisa dalle équipes sul canovaccio del parroco moderatore. Durante il cammino di limatura e approvazione del progetto l’impegno e la frequenza dei consigli sono lentamente aumentati per raggiungere, un po’ a tappe forzate, l’obiettivo prefissato. E proprio durante uno di questi incontri, sul finire dello scorso anno, dalla discussione è emerso quello che sotto pelle sentivamo un po’ tutti: ci stavamo impegnando in cose lodevoli ma avevamo perso di vista (o forse non l’avevamo mai focalizzata a dovere) la cosa più ci doveva stare a cuore. Per spiegare qual è userò le parole che don Antonio (a cui va il merito di aver colto al volo il disagio) ci ha indirizzato dopo quell’incontro, in una lettera di “rifondazione” del consiglio: “Abbiamo bisogno di fare ‘corpo’ e comunione tra di noi per crescere nella responsabilità e nella condivisione del peso pastorale, pertanto è necessario vedersi con frequenza e tempo per confrontarci, pregare e conoscerci”. Stavamo cercando invano di trasmettere alla comunità qualcosa che neppure noi possedevamo. Da allora abbiamo cominciato a ve- derci con cadenza mensile a partire dal tardo pomeriggio, anziché dopo cena, e alla discussione si alterna la preghiera e la condivisione di un’agape frugale.

Condividendo anche la fatica

Così abbiamo approvato il progetto pastorale ed è scaturita l’esigenza di condividerlo con tutti i fedeli della nostra Unità pastorale. Per questo siamo andati a due a due nelle case, presso famiglie disposte ad ospitarci e a radunare i vicini, per presentare il progetto direttamente a tutti coloro che erano interessati. Abbiamo fatto una trentina di incontri e l’esperienza è stata estremamente formativa per noi e per gli altri, un’occasione di maturazione e di acquisizione di consapevolezza per proseguire rinvigoriti nel cammino intrapreso. E allora, tutte rose e fiori? No di certo, perché il cammino è faticoso e la stanchezza affiora. Infatti il punto di forza di questo Consiglio, ovvero l’essere composto da rappresentanti di tutte le realtà ecclesiali presenti nella Up (movimenti, gruppi di preghiera, gruppi liturgici, catechisti, corale, Caritas, amministrazione, segreteria, media, ecc.) si rivela essere anche il primo limite perché c’è una sovrapposizione e un sovraccarico di impegni per i singoli. Così arriviamo agli incontri con la paura dei “compiti a casa”, ovvero di quanta e quale mole di lavoro può scaturire dalle decisioni del consiglio, temendo di non potervi far fronte tra gli impegni di famiglia, di lavoro e quelli pastorali già presi. Come si supera questa situazione? Sicuramente, da una parte, accettando la fatica che la sequela di Cristo comporta, e dall’altra cercando di responsabilizzare le nuove generazioni, affinché insieme si possa procedere condividendo questa fatica. Perché Gesù ci assicura “…il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Mt. 11,30).

Ferdinando Ricci diacono

Il coro dell’Unità pastorale. Molti dei componenti sono anche membri del Consiglio pastorale di UP

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