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Curando le persone ci si sente fratelli

“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona, e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: così mons.

Makarios Tewfik , vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, che si sono recati poche settimane fa in Egitto per conoscere alcuni progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell’8x1000.

Ismailia, sede dell’omonima Eparchia copto- cattolica, è il capoluogo del Governatorato omonimo. La diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai, dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato islamico (Isis o Daesh).

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi - l’ultima è del 2 novembre scorso - “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle istituzioni: “Garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana, ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.

Si lavora anche per eliminare le discri- minazioni contro i cristiani specialmente nella vita pubblica: “A settembre il presidente Al Sisi e il Governo hanno nominato due cristiani, un uomo e una donna, governatori rispettivamente di Mansura, capoluogo del governatorato di Dakahliyya, e di Damietta. Si tratta di un passo importante nella giusta direzione”. Positivi sviluppi, secondo mons. Tewfik, anche per le nuove chiese, con norme che ne facilitano la costruzione e la ristrutturazione.

Proprio in questi giorni, riferisce l’agenzia Fides, in occasione del lancio del Piano nazionale in materia di edilizia sociale, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha rinnovato l’impegno per il restauro delle chiese distrutte dai gruppi islamisti, in particolare nei disordini dell’estate 2013. Nel contempo va avanti il processo di “legalizzazione” di luoghi di culto cristiani costruiti in passato senza i permessi richiesti, insieme alla concessione di autorizzazioni per la costruzione di nuove chiese copte.

Il Governo del Cairo ha prestato grande attenzione al tema della costruzione delle chiese: il disegno di legge, passato alla Camera il 30 agosto 2016, è stato il primo riguardante gli edifici di culto cristiani, che nei passati 100 anni erano costruiti e regolamentati da un decreto risalente all’epoca ottomana.

Non sembra pesare troppo alla comunità cristiana la presenza, davanti tutte le chiese, di forze di polizia, esercito e metal detector . È così anche davanti all’episcopio di Ismailia. “Lo scopo è evitare attentati - dichiara il vescovo copto-cattolico. - Per i nostri fedeli, una misura normale, sin dai tempi dell’ex presidente Mubarak. Tanti fedeli sono morti martiri in attentati eseguiti contro le chiese dai terroristi. Morire martire è assicurarsi la vita eterna. La nostra chiesa è una chiesa di martiri”.

Ma c’è un altro fronte che si sta aprendo per la Chiesa locale: “È il progressivo allontanamento dei giovani dal valori evangelici trasmessi dalla famiglia. I giovani sono sempre più attiratati dallo stile di vita occidentale veicolato dai media e dai social . Anche per questo motivo molti di loro lasciano il Paese per non tornare più”.

La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione. “Il nostro punto di forza - sottolinea mons. Tewfik - è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.

Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Ci sono poi gli ospedali, dove curiamo tutti i più bisognosi, senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.

Ed è a Port Said che è stato inaugurato il nuovo Centro di neonatologia e di terapia intensiva (6 posti) dell’ospedale “Notre Dame de la Delivrande”, finanziato dalla Cei con i fondi 8xmille. Tra le apparecchiature in dotazione, anche sei incubatrici.

A tagliare il nastro don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del terzo mondo, e padre Hanna Tewfik, che coordina il nosocomio con le suore di Maria Bambina.

“Nel nostro ospedale - racconta il sacerdote - vengono tante persone. Arriviamo a fare anche 50 visite al giorno; per la gran parte sono pazienti musulmani. Prestiamo cure a tutti senza differenze. Coloro che non possono pagare sono circa il 10% dei pazienti. Con il restante 90% di paganti riusciamo ad andare avanti garantendo i servizi. Quello di Neonatologia e ginecologia è molto apprezzato. Qui da noi tante donne velate vengono a partorire perché hanno molta fiducia nelle suore che vi lavorano. Seguiamo circa 40 parti al mese”.

La maggioranza dei medici dell’ospedale, 55, e degli infermieri, 50, è di fede musulmana. Per padre Tewfik, “questo si innesta negli ottimi rapporti di convivenza che ci sono in città e in generale nella diocesi. Curando, insegniamo a convivere”.

D. R. - M. R. V.

L’ospedale cattolico di Port Said a Il Cairo

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