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Laurent, il bambino ivoriano morto cercando il cielo

C aro Direttore, Air France, con freddo linguaggio burocratico, ha reso noto il decesso di un “passeggero irregolare” evitando però di chiarire (forse per pudore) che si trattava di un clandestino minorenne. Così questo scheletrico comunicato, cercando di attenuare l’orrore, ha eclissato la parola “bambino”. Ma è un bambino a essere morto. C’è da rabbrividire mentre lo si immagina arrampicato sulle enormi gomme dell’aereo; poi, con la sola forza delle braccia, aggrapparsi al telaio e rannicchiarsi nel vano del carrello. Volare via, trovare uno spazio nuovo di vita, già pensarsi, dopo poche ore di volo, di chiamare a casa dicendo “ce l’ho fatta”. Questo incredibile desiderio di dare una svolta, un senso alla propria vita, riesce a cancellare ogni istinto di prudenza e dissolve qualsiasi paura.

Ma i vani dei carrelli di atterraggio non sono né riscaldati né pressurizzati. Le temperature scendono a oltre -50 °C tra i 9.000 e i 10.000 metri, l’altitudine alla quale volano gli aerei di linea. Il bambino si accorge del freddo che comincia ad avvolgerlo, e non lo riconosce, abituato al sole in cui è nato, così è felice e ringrazia Dio. Poi il sonno dell’assideramento lo avvolge.

Quando il Boeing scende sulle infinite luci di Parigi, il ragazzino è rigido, stecchito come un piccolo agnello congelato. Eppure questo “clandestino” non voleva far paura a nessuno; domandava solo di essere accolto e amato. Accolto e amato come nel racconto della tenerezza di Dio, che viene e porta la rivoluzione della solidarietà fraterna, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. La giovanissima vittima di appena 13 anni ora ha un nome: si chiamava Laurent Ani Guibanhi. Lo ha reso noto il ministero dei trasporti ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, da cui era partito il volo. L’identificazione è stata possibile grazie all’esame delle videocamere dell’aeroporto di decollo. Ani era nato a Youpugon, un sobborgo della capitale ivoriana, e frequentava regolarmente la scuola. Si ignora perché quel ragazzino abbia deciso di fuggire dal suo Paese. Eppure è possibile immaginarlo. Dobbiamo immaginarlo. Il cielo sotto cui viveva non era un cielo generoso. Anni e anni di guerra civile. Miseria e distruzione.

Famiglie smembrate. Fame. Pochi ricchi a dettar legge, forti dei loro rapporti con i colonizzatori di sempre.

Quel ragazzino guardava il cielo e sperava. Guardava il cielo e sapeva che altrove il cielo era generoso. E al cielo ha affidato la sua vita. Il miglior modo di ricordare questo piccolo figlio della Donna e dell’Uomo è ascoltare la sua preghiera al cielo, il cielo di tutti noi.

Raccogliere le sue speranze e farle nostre. Batterci per esse. Ci sia un solo cielo e che sia generoso e colorato dal sorriso allegro di tutti i bambini del mondo. La vita, che è di Dio, è come l’edera che torna a ricoprire di verdi germogli anche le mura delle disumane, sgretolate frontiere.

Buttando il cuore oltre le nostre capacità, vogliamo dire a Laurent:

“tu sei fra i vivi”, come nell’epigrafe di una giovane donna in una catacomba di Roma. Sulla soglia dei “perché”, con l’impeto dell’infinito nel cuore, la dolce Vergine Maria, “di speranza fontana vivace” ci fortifichi nella lieta Certezza che conforta.

Grazie per averci ricordato il nome e la storia di quel bambino che, come tante altre, rischia di venire archiviata troppo presto.

Il dilemma: la ricerca medica può sperimentare su animali?

C aro Direttore, è recente la protesta degli animalisti contro l’uso dei macachi nel progetto di ricerca

su deficit visivi, condotto dalle Università di Torino e di Parma. Alla protesta è seguita la sospensione della sperimentazione animale sui macachi, ordinata dal Consiglio di Stato a seguito della richiesta della Lav (Lega anti-vivisezione). Sulla questione ho trovato interessante la “lettera aperta” firmata dal farmacologo Silvio Garattini e i neuroscienziati Giacomo Rizzolatti e Gaetano Di Chiara, nella quale ricordano che “i ricercatori non stanno trasgredendo la legge”. I firmatari ricordano che “contrariamente ad altri Paesi europei, in Italia ogni ricerca con animali viene presentata per l’autorizzazione non a uno, ma a ben cinque Comitati di controllo, i quali hanno avuto modo di esprimersi per dare il via libera alla sperimentazione in questione. Sono nell’ordine: il Comitato etico, il Comitato del benessere animale, l’Istituto superiore di sanità, il Consiglio superiore di sanità e il ministero della Salute. Tutti hanno ritenuto che la ricerca fosse necessaria e che utilizzasse la specie animale più adatta”. In questi attacchi con argomentazioni “antiscientifiche” alla sperimentazione su animali, vedono un grande rischio, quello di portare ad abolire la ricerca sperimentale. “Ma senza ricerca il Paese è destinato a regredire economicamente e civilmente. Senza ricerca non c’è futuro” scrivono i firmatari nella lettera inviata ai presidenti del Consiglio di Stato, del Consiglio superiore della magistratura, del Consiglio superiore di sanità, dell’Istituto superiore di sanità, dell’ European Research Council , e ai ministri della Salute e dell’Università e ricerca.

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